
Wokismo: svegli o solo nervosi?
2 Giugno 2025Wokismo: svegli o solo nervosi? Cos’è davvero e perché fa tanto discutere
Negli ultimi anni è diventato quasi impossibile sfuggire a un termine che compare ovunque: wokismo. Se ne parla in TV, nei talk show, sui giornali e – inevitabilmente – sui social. Ma cosa significa davvero? È una moda? Un’ideologia? Una minaccia alla libertà di espressione o un progresso necessario?
Woke: da sveglio a bersaglio
Tutto parte dall’aggettivo inglese woke, che significa letteralmente “sveglio”. Un tempo era usato nella comunità afroamericana per indicare chi era consapevole delle discriminazioni razziali. Essere woke significava tenere gli occhi aperti sull’ingiustizia. Con gli anni, il termine si è allargato a chiunque si mostri sensibile a cause sociali come:
- Diritti civili e parità razziale
- Parità di genere e femminismo
- Diritti delle persone LGBTQ+
- Rispetto per minoranze culturali, linguistiche o religiose
- Lotta al colonialismo e ai privilegi sistemici
Fin qui, tutto sembrerebbe condivisibile. Ma allora, perché questo termine è diventato così divisivo?
Quando il “wokismo” diventa insulto
Negli ultimi tempi, wokismo è diventato una parola usata quasi esclusivamente in tono critico o ironico. I suoi detrattori la associano a un atteggiamento giudicante, ipocrita, e persino intollerante nei confronti di chi non si allinea a certi codici linguistici e culturali.
Chi critica il wokismo spesso punta il dito contro:
- Il politicamente corretto spinto all’eccesso
- Il linguaggio inclusivo percepito come artificioso
- La cancel culture, ovvero la tendenza a “cancellare” artisti, scrittori o opere considerate oggi offensive
- La riscrittura della storia con gli occhi del presente
- Il senso di colpa culturale imposto a intere generazioni
Secondo questa visione, il wokismo avrebbe trasformato il dibattito pubblico in un campo minato: tutto è giudicato, ogni parola è sotto accusa, ogni errore può costare caro.
Chi ha paura del wokismo?
Il punto è che non esiste una definizione univoca di wokismo. È un’etichetta fluida, usata spesso per screditare qualsiasi forma di attivismo progressista, anche quando pacato e ragionevole.
C’è chi lo vede come una necessaria evoluzione culturale verso una società più giusta. E c’è chi lo vive come una nuova forma di conformismo, con tanto di censura, liste di parole proibite e tribunali morali online.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo: esistono forme di attivismo utile e rispettoso, ed esistono derive dogmatiche e autoreferenziali che fanno più male che bene.
Quindi, che fare?
Capire cos’è il wokismo richiede una cosa che oggi sembra diventata rara: ascolto critico. Non basta liquidarlo come una sciocchezza, né abbracciarlo acriticamente come una nuova fede.
Occorre distinguere tra:
- la giusta lotta per l’inclusione
- e il rischio di un moralismo punitivo che sostituisce un’ingiustizia con un’altra.
In fondo, essere “svegli” non dovrebbe significare urlare di più, ma capire meglio. E magari, imparare anche a sbagliare senza essere messi alla gogna.