“Vota Giorgia”: perché è sbagliato   

“Vota Giorgia”: perché è sbagliato   

5 Maggio 2024 0 Di Paola Barbaglia

Giorgia Meloni chiede di votarla con il solo nome di battesimo.

Quando ho sentito questa notizia ho pensato di aver capito male. Ma che fesseria stava dicendo? Farsi chiamare per nome che senso ha? A questo punto facciamoci chiamare con il soprannome delle medie che fa tanto persona vicina al popolo.

La possibilità di dare la preferenza a un candidato o a una candidata scrivendo solo il nome di battesimo o un soprannome non è una novità, anzi è una possibilità da molti anni quando un candidato è noto soprattutto con un diminutivo del nome o con un soprannome.

“Sono fiera di essere una persona del popolo” dice. In realtà in questo caso è solo una paraculata politica per fare credere agli elettori di essere più vicina al popolo. Una pretesa vicinanza. Narrativa che va avanti da anni, questo è solo un pezzo aggiuntivo (basta pensare al fatto che ogni tanto parla in dialetto romanesco anche in contesti istituzionali).

In verità tutto quello che propone lei è contro le donne e i nostri diritti.

Svilisce tutto ciò che si è fatto finora, affossa la battaglia che stiamo facendo da anni per disabituare la comunità a identificare le professioniste con il nome proprio.

Sta facendo più danni la Meloni alle Donne che tutti gli uomini prima di Lei…

Comportamento ben diverso quello di Elly Schlein (Segretaria del PD) che dice “Giorgia? Io chiedo il voto per il Pd non per me. Giorgia Meloni non ha un programma, non ha una visione per l’Europa che vogliamo, l’Europa che serve alle persone, che si batte per il salario minimo che lei sta negando. Non abbiamo sentito un’idea, solo un nome”.    

Crediamo, ed è più che un sospetto, che a Giorgia Meloni non interessa contare davvero in Europa: le serve contarsi in Italia. Le è stata lasciata un’Italia che riportava a casa 209 miliardi del PNRR per infrastrutture, investimenti, sanità. Nemmeno il tempo di arrivare a Bruxelles da premier, ha dato l’ok a un accordo con tagli da 13 miliardi l’anno che colpiranno le tasche degli italiani, i servizi, la sanità, le scuole.

Anche per questo è importante andare a votare l’8 e i 9 giugno

Meloni vuole mostrarsi per ciò che non è mai stata.

Lei che è a capo di un partito conservatore, anzi reazionario, sta cercando di accreditarsi come a favore dell’Europa, più avanti delle femministe, all’avanguardia, come esempio per le signore (è possibile tenersi tutto, famiglia e carriera, senza quote e senza le lagne delle donne di sinistra).

Va a braccetto con la Lega di Salvini, per cui il modello di famiglia è quello di Orban (la donna a casa a fare figli e l’uomo al lavoro).

Cara Meloni, se sei lì è anche grazie alle nostre battaglie femministe

Forse ogni tanto le andrebbe ricordato a proposito delle donne di sinistra, che, se è arrivata lì dove è oggi, è anche grazie a chi questi spazi in passato li ha pretesi, oltre che per se stessa, per tutte le donne di quel tempo e per quelle che sarebbero venute dopo. Battaglie femministe che lei disconosce.

Battaglie i cui risultati oggi diamo per scontati, ma che senza quei movimenti non lo sarebbero stati: il diritto di voto, il diritto a sposare chi vogliamo o a non sposarci affatto, il diritto di disporre del nostro corpo e anche di non fare figli se questo è il nostro desiderio, il diritto di diventare magistrate, avvocate, scienziate, astronaute. Diritti che non solo non sono stati una concessione, ma che soprattutto non possono essere considerati come acquisiti per sempre.

Battaglie che proseguiranno, per non permettere alla destra di toccare non solo la 194/78, ma un lungo elenco di conquiste e di diritti che va dal divorzio alla parità salariale, alle quote nei CDA delle società quotate,  fino alle norme sulla violenza di genere, sul linguaggio di genere.

Ogni ragazza che cresce è costretta ad affrontare il momento doloroso e sconfortante in cui prende coscienza del fatto che di lei raramente si parlerà come dei suoi coetanei maschi. E se proverà a far notare che un riconoscimento del suo titolo spetta anche a lei, ad esempio cambiando la targa da Assessore ad Assessora, sarà “la solita esagerata deve proprio protestare inutilmente” come se il problema fosse una vocale.

A donne di tutte le età capita di subire questo tipo di discriminazioni; vorremmo rivendicare il nostro titolo e vederci riconosciuto ciò per cui abbiamo lavorato, senza che venga invalidato dall’ennesimo, frustrante “signorina”, “cara” o “tesoro”.

Depotenziare una donna passa per varie tecniche, anche rivolgersi a lei chiamandola per nome e non per cognome. Se le togli il cognome le togli il passepartout sociale.

La rivoluzione parte anche dal piccolo, dalla conquista di una targa, dal nome della propria carica, dal proprio cognome.