
Dietro la bara, il bavaglio
25 Aprile 2025Come il governo ha umiliato il 25 aprile
Il 25 aprile sotto silenziatore
In un’Italia democratica e libera, il 25 aprile non è una data qualsiasi: è la radice civile della nostra Repubblica. È il giorno in cui celebriamo la fine del giogo nazifascista, la rinascita di un popolo che seppe dire no alla dittatura e sì alla democrazia, alla libertà, alla dignità. Eppure, oggi, quella stessa festa viene trattata come un fastidio, un inciampo, un’occasione da anestetizzare.
Perché?
Perché questa destra, che al suo interno accoglie ex — ma neppure troppo “ex” — missini, continua a vivere il 25 aprile come un ostacolo ideologico da rimuovere.
Il paradosso è lampante: una festa di liberazione viene vissuta come “divisiva”. Ma è divisiva solo per chi è fascista, e ce ne sono ancora tanti, troppi.
L’ipocrisia vestita a lutto
Quest’anno, il governo ha trovato il pretesto perfetto per mettere il silenziatore a una data troppo carica di verità: il lutto per Papa Francesco. Un Papa che, ironia delle ironie, non ha mai avuto il sostegno morale, spirituale o culturale della destra italiana.
Accoglienza, dignità del lavoro, giustizia sociale, rispetto per l’ambiente: parole chiave del pontificato di Francesco, parole scomode per chi oggi si inginocchia ipocritamente davanti alla sua bara.
Sembrano avvoltoi del consenso, che fingono commozione mentre approfittano del momento per colpire il cuore della nostra democrazia.
Papa Francesco non era un rivoluzionario.
Era semplicemente giusto.
E proprio per questo scomodo.
Magenta come uno dei tanti, troppi, simboli del tradimento
A Magenta, come altrove, il 25 aprile è stato ridotto a un’ombra.
Niente suoni, niente parole forti, nessuna memoria viva.
Solo “sobrietà”, parola svuotata di significato che oggi viene brandita come una clava contro la partecipazione. Ma non è sobrietà: è umiliazione. È censura.
È anche, per alcuni, autocensura?
È il primo vero tentativo riuscito di mettere una pietra tombale su una festa fondativa.
Chi ha avuto il coraggio, ottant’anni fa, di opporsi al regime fascista e pagare con la vita, oggi è stato dimenticato, umiliato in nome di un presunto politically correct che serve solo a livellare la coscienza civile verso il basso e che serve solo a banalizzare.
Il progetto: riscrivere la storia
Non è una svista, è un progetto. Come durante il ventennio si spostò il Primo Maggio per cancellarne il significato (diventando il “21 aprile, Festa del Lavoro Italiano”, in coincidenza con il Natale di Roma), oggi si tenta di oscurare il 25 aprile sotto l’ombra di un lutto strumentalizzato.
Ci racconteranno che è tempo di “unità nazionale”, che bisogna “superare gli steccati”. I più sgamati (fino ad un certo punto, sgamati), ci diranno che “ci sono delle circolari del Prefetto”.
Ma attenzione: l’unica unità che conoscono è quella costruita sulla rimozione, sull’oblio, sull’annacquamento della verità storica. E quella verità è che l’antifascismo non è un’opinione: è un dovere costituzionale.
Il Papa e i mercanti nel tempio
Il tentativo di usare il lutto per Francesco come trappola per la sinistra — per provocare una reazione anticlericale —, per cercare di far inveire contro la salma ed il ricordo di un Papa giusto, è puerile. Francesco non aveva nemici a sinistra.
Aveva, semmai, interlocutori.
I suoi veri detrattori erano, e sono, proprio quelli che oggi si mostrano in prima fila, con il fazzoletto in mano e le lacrime finte che rigano i volti impomatati del potere.
Se fosse vivo, questo Papa — l’unico ad aver scelto il nome di Francesco — li avrebbe scacciati dal tempio come mercanti del consenso, perché nulla hanno a che vedere con la giustizia, con la verità, con la pace.
Difendere il 25 aprile: oggi più che mai
Questa non è retorica. È allarme civile. Il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista. E se oggi lo si vuole svuotare, domani potrebbe scomparire.
Ci sarà ancora nel 2026?
Ci sarà ancora una memoria collettiva, un’educazione alla democrazia, una coscienza storica?
Dipende da noi.
Da chi rifiuta di vivere in silenzio.
Da chi non accetta che si usi un funerale per seppellire la Costituzione.
Da chi, ancora oggi, crede che resistere sia un verbo al presente.

Chiudo con questo accorato invito di Piero Calamandrei, e mi riferisco in particolare al suo famoso discorso del 1955, quando sottolineava come la Costituzione non fosse solo un documento, ma un “pezzo di carta” che va “messa in movimento” attraverso l’impegno e la responsabilità di ogni cittadino.
La Costituzione, per Calamandrei, è un “patrimonio” da coltivare e difendere attivamente, e non un semplice testo da leggere.