
Primo Maggio: Lavoro è Vita, non solo Sopravvivenza
30 Aprile 2025Un appello per un’Italia più giusta, che riscopra la dignità del lavoro
Morire di lavoro: la vergogna del nostro tempo
Ogni giorno in Italia, tre persone muoiono mentre lavorano. È una statistica crudele che racconta una verità amara: in questo Paese si può ancora morire per portare a casa uno stipendio. E non è solo colpa della fatalità, né del destino cinico e baro. La responsabilità è anche di uno Stato che legifera ma non vigila, di un sistema produttivo che spesso sacrifica la sicurezza sull’altare del profitto.
La cultura della sicurezza non può ridursi a firme sui documenti e corsi online impersonali. Deve essere parte del DNA delle imprese, del sistema scolastico, dei controlli ispettivi, delle scelte politiche. Serve un circolo virtuoso: imprese responsabili, lavoratori formati e consapevoli, ispettorati che funzionano, sanzioni severe, trasparenza. Il lavoro non può essere una roulette russa.
Il salario non basta: serve subito un salario minimo legale
Oggi milioni di lavoratrici e lavoratori in Italia guadagnano meno di mille euro al mese. In molti casi, il salario è così basso da non consentire una vita dignitosa. Eppure, si continua a rimandare una legge sul salario minimo: una misura di civiltà, già adottata in gran parte d’Europa, che garantirebbe a tutti una soglia minima di dignità.
Non si può più accettare che in nome della “flessibilità” e del “mercato”, si sacrifichino le persone. Come dice(va) Papa Francesco, “Il lavoro non è solo per guadagnare, ma per la dignità della persona, per il fare il bene del mondo, per la propria famiglia, per la società”.
Ed è questa dignità che oggi manca a troppi.
Gli invisibili: migranti e immigrati, forza lavoro senza diritti
Nei campi, nei cantieri, nelle cucine, nei magazzini della logistica, sono migliaia i migranti e gli immigrati che tengono in piedi interi settori della nostra economia. Spesso fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, perché troppo umili, troppo duri, troppo sottopagati.
Eppure, questi lavoratori vengono sistematicamente sfruttati, sottopagati, ignorati nei loro diritti. Vengono usati, e poi scaricati. Sono il volto nascosto del Primo Maggio: non vedono ferie, né tredicesime, né sicurezza.
E qui va ricordato ciò che disse Giuseppe Di Vittorio, figlio di braccianti, padre del sindacalismo moderno: “I diritti o sono per tutti o non sono diritti, ma privilegi.”
Un’Italia che vuole dirsi civile non può più tollerare lo sfruttamento legalizzato della manodopera migrante.
I giovani in fuga: l’Italia che espelle i suoi figli
Oggi quasi 120.000 giovani italiani ogni anno lasciano il Paese in cerca di opportunità altrove. Laureati, specializzati, competenti. Se ne vanno perché non vogliono accettare stipendi da fame, contratti a termine eterni, precarietà senza prospettive.
E non possiamo biasimarli.
È un fallimento nazionale. Se l’Italia non è più in grado di trattenere le sue energie migliori, se la generazione più istruita di sempre è anche la più povera e instabile, vuol dire che il sistema va rifondato. Il lavoro non deve essere solo un mezzo per sopravvivere, ma uno strumento di crescita e realizzazione.
Lavoro è dignità: non possiamo rassegnarci
Nel giorno che celebra le lavoratrici e i lavoratori, non basta ricordare: bisogna pretendere cambiamento. Basta morti bianche. Basta salari da fame. Basta sfruttamento.
Serve una nuova stagione di giustizia sociale, in cui il lavoro torni al centro della politica, non come spot, ma come impegno quotidiano.
Perché, come ha detto ancora Papa Francesco:
“Un lavoro che non prende sul serio la sicurezza e la dignità della persona è un lavoro indegno.”
E come ricordava Di Vittorio:
“Il lavoro nobilita l’uomo solo se l’uomo non è reso schiavo dal lavoro.”
Che il Primo Maggio sia allora un grido collettivo, un richiamo all’azione, un impegno per la giustizia e la dignità di tutte e tutti.