No, una scuola non può portare il nome di Sergio Ramelli

No, una scuola non può portare il nome di Sergio Ramelli

28 Maggio 2025 0 Di admin

La scuola è il luogo della democrazia, non dell’ambiguità neofascista.

La recente proposta del Presidente del Senato Ignazio La Russa di intitolare una scuola a Sergio Ramelli non è solo inopportuna. È profondamente sbagliata. E dobbiamo dirlo chiaramente, senza ambiguità.

Sergio Ramelli è stato ucciso barbaramente nel 1975, ed è giusto ribadire che nessuna morte violenta è giustificabile, mai. Ma il tema qui non è il lutto — è la memoria pubblica, e ancor più la memoria civica che affidiamo alle giovani generazioni. Ramelli non può essere trasformato in simbolo educativo. Perché la sua storia politica, per quanto tragicamente conclusa, si inscrive all’interno di un’ideologia — quella neofascista — che è in aperta antitesi con i valori fondanti della Repubblica.

In una scuola non si insegna l’ambiguità

Si insegnano la libertà, la partecipazione, la tolleranza. In una scuola si insegna la democrazia. E il fascismo — come ricordava con parole limpide il Presidente Sandro Pertininon è un’opinione, è un crimine. Questo perché il fascismo ha calpestato ogni libertà, ha perseguitato chi la pensava diversamente, ha cancellato ogni forma di dissenso.

Ramelli non era un semplice ragazzo “di destra”. Ramelli militava nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, erede diretto del fascismo storico. Non possiamo far finta che questo sia un dettaglio irrilevante. La sua morte non lo trasforma automaticamente in un modello. Il suo pensiero politico si ispirava a valori autoritari, nazionalisti e antidemocratici.

E ancora oggi, ogni anno, sulla sua tomba si riuniscono centinaia di nostalgici del Ventennio che, incuranti della legge e della decenza, alzano il braccio nel saluto romano. Quello sì che è un oltraggio. Alla Costituzione. Alla scuola. Alla memoria democratica del nostro Paese.

No, non si può intitolare una scuola a Sergio Ramelli.

Ma si può e si deve intitolarla a chi ha lottato per la libertà di tutti. A chi ha scelto la Resistenza. A chi ha costruito la nostra democrazia. A Pertini, a Saragat, a Gramsci. Lì sì che c’è esempio. Lì sì che c’è coerenza tra la biografia e il messaggio che vogliamo trasmettere a studentesse e studenti.

In Parlamento, un giorno, qualcuno ricordò — rivolgendosi a un esponente della destra — che “oggi tu puoi parlare perché ha vinto la democrazia. Se aveste vinto voi, io sarei morto”. Quelle parole non sono una provocazione: sono una fotografia brutale ma esatta della differenza tra chi ha lottato per includere e chi ha lottato per reprimere.

La memoria non è mai neutrale. E la scuola, luogo di costruzione della coscienza civile, non può permettersi ambiguità.
Ramelli non è un modello. Ramelli è una storia tragica, da studiare, ma non da glorificare.


La scuola insegni la libertà. Non la nostalgia di chi l’ha tradita.