
Il tracollo dell’Inter e la crisi strutturale del calcio italiano: un’industria alla deriva
1 Giugno 2025La sconfitta per 5-0 dell’Inter in Champions League non è solo un’umiliazione sportiva per uno dei club più prestigiosi d’Italia, ma il simbolo di un sistema ormai al collasso. Non si tratta di una débâcle episodica, ma della fotografia più nitida dello stato dell’arte del calcio italiano: una crisi profonda, radicata e sistemica.
Un movimento che non vince più
Il calcio italiano non solleva un trofeo europeo per club da oltre tredici anni (l’ultima Champions vinta fu proprio dall’Inter nel 2010) e anche la Conference League, considerata da molti un torneo “minore”, ha visto svanire due finali consecutive. Sul fronte delle Nazionali, dopo la fiammata dell’Europeo 2021, è tornato l’incubo: due Mondiali consecutivi saltati, un disastro senza precedenti nella storia azzurra.
Campioni in fuga, giovani in vetrina
Il nostro campionato ha smesso da tempo di essere una destinazione ambita dai fuoriclasse. I top player scelgono la Premier, la Liga, perfino l’Arabia Saudita. L’Italia non è più competitiva sul mercato: vende i migliori talenti all’estero, spesso ancora adolescenti, e fatica a trattenere i giovani cresciuti nei vivai. L’assenza di visione a lungo termine, unita alla cronica mancanza di risorse economiche, rende il sistema incapace di valorizzare e capitalizzare sul proprio patrimonio tecnico.
Stadi del secolo scorso e proprietà senza passione
Le infrastrutture sono un altro anello debole. Gli stadi italiani sono obsoleti, scomodi, spesso semivuoti, e soprattutto non di proprietà dei club. Questo impedisce di generare ricavi stabili e programmabili, come avviene nei campionati più avanzati. I tentativi di modernizzazione si scontrano con burocrazia e immobilismo politico-amministrativo.
Nel frattempo, molte società sono finite nelle mani di fondi di investimento o proprietà straniere il cui unico obiettivo è la stabilizzazione dei conti per poi vendere. Investire per vincere? Troppo rischioso. Meglio tagliare, cedere, e attendere l’offerta giusta. Il risultato? Squadre senza anima e senza futuro.
Una crisi che è anche culturale
Il declino non è solo economico e tecnico: è anche culturale. Manca la programmazione, la meritocrazia è spesso sacrificata sull’altare dell’improvvisazione e della politica sportiva di basso profilo. Le società non investono davvero nei settori giovanili, non innovano, non formano figure professionali all’altezza di un calcio globale e ipercompetitivo.
Serve una rivoluzione, non un rimpasto
La sconfitta dell’Inter è solo l’ultimo sintomo di un sistema che va rifondato. Servono riforme radicali: gestione manageriale moderna, stadi nuovi e funzionali, investimenti nei vivai, una governance capace di tutelare l’interesse collettivo e non solo quello dei singoli club. Bisogna riportare al centro la passione, il merito, la competenza.
Altrimenti continueremo a vivere di nostalgia, mentre il calcio italiano, quello vero, continuerà a morire. In silenzio. Tra le macerie di ciò che fu.